“Ora è tutto nelle mani del Presidente della Repubblica”. L’intervista.

Dopo le elezioni del 4 marzo 2018 l’Italia sta vivendo una fase politica caotica e instabile. Le elezioni del 2013 avevano evidenziato una realtà tripolare con Forza Italia – M5S – Partito Democratico, adesso il Movimento è salito in testa diventando il partito più votato. Ma chi ha vinto le elezioni? Quali sono gli equilibri di potere oggi in Italia? E… Siamo davvero nella “Terza Repubblica”, come ha detto Di Maio? In questa intervista Claudia Mariotti, docente di Sistema Politico Italiano all’Università degli Studi Roma Tre, ci aiuta a capire meglio cosa sta succedendo.

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Buongiorno Prof.ssa Mariotti e grazie per aver accettato la nostra intervista. Con il 32% di preferenze, il M5S si è affermato come lista più votata, mentre il centro-destra si è presentato in coalizione ottenendo il 37% dei voti. A suo parere come si configureranno i nuovi rapporti di forza fra i vari partiti?

I nuovi rapporti di forza non potranno prescindere dalle due forze più votate (Movimento 5 Stelle e la Lega), come si è visto anche dall’elezione dei presidenti delle Camere. La formazione del governo dovrà passare per un dialogo tra queste due forze che non è detto porti necessariamente ad un accordo, ma un dialogo tra le due sarà comunque necessario. Il Partito Democratico proverà a fare opposizione, cercando di sistemare le cose all’interno del partito, iniziando dal congresso. Si dovrebbe aprire una fase di “derenzizzazione”, ma in un’organizzazione fortemente colonizzata dal suo leader. Forza Italia, pur sorpassata dalla Lega, è invece in una posizione migliore. Se Salvini non dovesse fare un accordo con il Movimento 5 Stelle, ma puntare sul centrodestra, Berlusconi potrebbe aiutare la coalizione a trovare i cosiddetti “responsabili” (parlamentari di altri partiti disposti di appoggiare il governo di centro-destra) necessari per far ottenere la fiducia ad un governo di centro-destra a guida Lega. In questo modo il suo peso all’interno della coalizione crescerebbe.

Come abbiamo visto anche sui cartelloni elettorali nelle strade di Roma, il M5S vuole il cambiamento: “Inizia oggi la Terza Repubblica, quella dei cittadini”, così Luigi Di Maio ha commentato il successo elettorale del partito. Secondo lei la c.d. “Seconda Repubblica” è davvero andata in pensione per lasciar spazio ad un nuovo corso?

Ilvo Diamanti già all’indomani delle elezioni del 2013 aveva parlato di inizio della Terza Repubblica, dato che l’emergere di tre poli di peso sostanzialmente equivalente aveva scardinato la logica bipolare tipica della cosiddetta Seconda Repubblica. Il ricambio della classe politica, nel 2013 e nel 2018, e delle leadership dei principali partiti – fatta esclusione di Berlusconi – oltre all’approvazione di nuove leggi elettorali (italicum, rosatellum) ci permette di parlare ormai di Terza Repubblica.

A suo parere quanto è realistica la proposta del “reddito di cittadinanza” da parte del M5S? Quanto tempo occorrerebbe perché questa promessa possa diventare effettivamente concreta?

Basandosi sul disegno di legge depositato dal M5S nella scorsa legislatura, alcuni esperti hanno stimato un costo di realizzazione tra i 15 e i 30 miliardi di Euro (una forchetta che si produce in base ai criteri di calcolo delle classi di reddito e all’ampiezza della platea di beneficiari). Una cifra certo considerevole considerando i vincoli di equilibrio dei conti pubblici e soprattutto un debito pubblico che pone margini di manovra molto limititati a chiunque, a prescindere dalle maggioranze parlamentari. Per questo bisogna capire come il M5S intenderebbe coprire nei fatti questo costo, cioè quali altri parti del bilancio pubblico verrebbero tagliate (a meno che non si ricorra ad un aumento delle tasse naturalmente, ipotesi che mi sentirei di escludere). Il problema è che si tratta di una misura “identitaria” per il partito di Di Maio, largamente caratterizzato in campagna elettorale da questa proposta, e quindi difficilmente “sacrificabile” su un eventuale tavolo di negoziazione per un governo di coalizione. D’altra parte, anche altre forze politiche in questa campagna elettorale si sono spese su promesse che, al di là della fattibilità economica, sono difficilmente realizzabili alla luce della mancanza dei numeri in Parlamento.

Il 4 marzo abbiamo votato con il “Rosatellum Bis”, un sistema misto che assegna il 37% dei seggi con il maggioritario, il 61% con il proporzionale e il 2% con il voto degli italiani all’estero. Assenza di voto disgiunto e preferenze. Quali sono i pro e i contro di questa legge?

Il Rosatellum è una legge sostanzialmente proporzionale con effetti maggioritari, motivo per cui il centro-destra, che è la coalizione che ha ottenuto circa il 37% dei voti, ha ottenuto oltre il 42% dei seggi in Parlamento. Dopo le sentenze della Corte Costituzionale del 2014 e del 2017 in materia elettorale è molto difficile immaginare una legge elettorale in grado di garantire una maggioranza in entrambe le Camere. Non dimentichiamoci che la Camera e il Senato sono elette su basi elettorali diverse (così come sancito dalla Costituzione), inoltre l’impossibilità di avere un premio di maggioranza senza superare una soglia importante (sentenza 2014) e di accedere ad un ballottaggio in assenza di altre soglie di sbarramento (sentenza 2017), rende poco credibile l’idea che una nuova legge elettorale possa garantire la stabilità, risolvendo i problemi attuali.

Tre settimane fa i lettori hanno assegnato fra gli altri anche l’Oscar al miglior partito e al migliore attore e attrice. Chiediamo anche a lei un “pronostico”: secondo lei chi sarà il nuovo premier italiano, e per quale motivo?

Ora è tutto nelle mani del Presidente della Repubblica che il 3 aprile darà il via alle consultazioni. Un governo Lega- 5Stelle potrebbe contare su una maggioranza minima, ma è l’unico al momento che potrebbe avere i numeri per una fiducia. Se ci fosse, invece, uno stallo di diversi mesi – quindi con un governo Gentiloni ancora in carica, in attesa di un nuovo governo – non mi stupirei se il centro-destra riuscisse a trovare i circa 90 parlamentari che mancano all’appello per avere una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, considerando che i parlamentari del M5S hanno il vincolo del doppio mandato (dopo i quali non potranno più essere candidati) e che la maggior parte dei parlamentari del PD sono di nomina renziana, quindi con un grande rischio di non rientrare nelle prossime liste di candidati, in caso di elezioni anticipate.

Articolo di: Alice Palombarani

Scritto e pubblicato il: 01/04/2018

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