Fra 2 giorni Donald Trump diventerà ufficialmente il 45esimo Presidente statunitense. Cosa pensare del neo presidente dal ciuffo biondo? E’ un Dr Jeckyll o un Mr Hyde? Ce ne parla Daniele Fiorentino, docente di Storia e istituzioni degli Stati Uniti, in questa intervista.
L’uscente Barack Obama, prima del passaggio di consegne, gli sta mettendo i bastoni fra le ruote: fra le diverse iniziative, spicca l’annuncio di nuove sanzioni contro la Russia. Perché? Come ha annunciato per primo il Washington Post, la CIA ha scoperto che il governo russo avrebbe aiutato Trump ad arrivare alla Casa Bianca, hackerando il sistema informatico del Partito democratico.
Queste novità gettano una luce d’ombra su Donald Trump. «Esiste un Trump buono e un Trump cattivo»: Francis Fukuyama, politologo statunitense, nella recente intervista a RaiNews24 evidenzia l’ambiguità del neopresidente americano, il lato confortevole del “Sarò il presidente di tutti” e quello isolazionista del muro fra Usa e Messico. E’ un carismatico Dr Jekyll o un diabolico Mr Hyde?
Stretto fra Obama e i russi, cosa pensare delle sue promesse e del suo mandato? Per capirlo meglio ci affidiamo nuovamente alla lettura di Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti, Università degli Studi Roma Tre.
D. Buongiorno, e grazie per questa nuova intervista. La vittoria di Trump ha sorpreso molti commentatori. Secondo lei è possibile avvicinare Donald Trump alla figura di Silvio Berlusconi, sia in termini di bagaglio imprenditoriale che di appeal politico?
Sicuramente, anche se forse Trump è andato ben oltre. I media americani, e in particolare alcune testate prestigiose come il New York Times e The New Yorker, hanno fatto ripetutamente il parallelo durante la campagna elettorale. Capelli a parte, Berlusconi e Trump condividono molte cose: innanzitutto l’appeal dell’imprenditore di successo che riesce a parlare al cittadino comune dicendo cose facili da capire e condivisibili da molti; il linguaggio diretto e poco corretto che però fa sentire tutti a proprio agio perché in fondo a pensar male sono molti ma ad avere il coraggio di dire certe cose non si riesce; così se lo dice il presidente che gli immigrati sono pericolosi, che non si devono pagare le tasse perché sono inique, o che bisogna ritrovare la superiorità dell’Occidente, allora lo possono dir tutti e questo sembra fare bene allo spirito in un momento di crisi in cui l’identità di nazione è messa in discussione. In realtà non fa che esasperare le tensioni.
Nonostante non abbiano assolutamente nulla in comune con la grande massa della popolazione questi leader hanno un carisma che fa credere a molti che il loro successo personale si ripercuoterà inevitabilmente su tutto il paese. Che poi questo non avverrà come non è avvenuto in Italia è un’altra cosa. Ma c’è in realtà un ideatore originale di questo modello di personaggio politico che forse non è stato messo in debito risalto: Ronald Reagan. Fu lui negli anni ottanta del Novecento a inaugurare una nuova politica spettacolo in cui non contavano tanto i programmi quanto quello che il presidente diceva alla nazione, la sua simpatia, il suo carisma, il suo ottimismo. Grande comunicatore, Reagan è stato recuperato da qualche anno dalla destra americana e diversi studiosi ne hanno tracciato un ritratto ben più positivo di quello che si era dato negli anni immediatamente successivi alla fine dei suoi due mandati. Trump è un coacervo di queste due personalità con uno spruzzo di Putin. Sarà interessante vedere cosa ne sarà di questo peculiare mandato presidenziale.
D. Professore, nell’intervista su Trump che ci ha rilasciato ad agosto aveva evidenziato che lui, pur essendo un ricco imprenditore, non ha avuto il successo che ostenta, perché ha fatto più di una bancarotta. Secondo lei, come si colloca la vittoria di Trump all’interno del panorama politico d’oltreoceano?
La vittoria di Trump è il risultato di una crisi diffusa del sistema americano e di un populismo dilagante che ha sempre più i tratti simili a quelli di diversi populismi europei che di quello americano del passato. Trump ha saputo cogliere il malcontento di una larga fetta della popolazione. Il paese è diviso e lui ha cavalcato l’onda di questo dissenso raccontando sostanzialmente agli elettori quel che volevano sentirsi dire. certo non rappresenta il suo elettorato. Ancora una volta non è quel che dice di essere e credo che dovremmo aspettare le prime mosse della sua amministrazione per capire cosa ha davvero in mente e quanto rispetterà le promesse fatte. Si può dire che alla fine più che Trump a vincere è stata Hillary Clinton a perdere. Uno degli obiettivi di molti elettori era quello di non avere lei alla presidenza.
D. Il programma politico di Trump in merito all’immigrazione è isolazionista: la promessa della costruzione di un muro fra Usa e Messico, dell’espulsione di milioni di immigrati irregolari e dell’eliminazione del diritto di cittadinanza per nascita. Secondo lei, dove finisce la campagna elettorale e dove inizia la reale intenzione di portare a compimento queste promesse?
Credo che sull’immigrazione il nuovo presidente non farà tutto quel che ha promesso in campagna elettorale. In realtà non farà molte delle cose che ha detto in generale. Nonostante un Congresso a grande maggioranza repubblicana non tutte le sue promesse potranno essere approvate. Secondo la costituzione e la prassi politica statunitense, il presidente non governa da solo. Inoltre, molte delle cose che Trump ha detto sull’immigrazione non sono necessariamente realizzabili. Nelle prime dichiarazioni di questi giorni non ha riparlato del muro. Teniamo conto peraltro che l’espulsione di immigrati illegali è un fatto abbastanza consueto negli Stati Uniti e sono centinaia di migliaia quelli espulsi quest’anno. Noi europei non teniamo in debito conto i numeri con cui gli americani si confrontano annualmente sull’immigrazione. Parliamo di milioni di esseri umani che regolarmente si trasferiscono negli Stati Uniti, o perlomeno ci provano. I numeri sono simili a quelli delle grandi migrazioni del passato solo che non sono più gli europei ad andare in massa nel paese ma altre etnie, considerate, come lo erano un tempo molti europei, italiani in testa, estranei alla maggioranza degli abitanti del paese, o perlomeno al gruppo dominante, bianco e protestante.
D. Parliamo di politica estera, un tema molto caro a Trump: vorrebbe allentare le tensioni con Russia e Cina, e ha in serbo altre iniziative in ambito NATO. Secondo lei, come cambieranno i rapporti fra Usa ed Europa, in particolare con l’Italia?
Indiscutibilmente la politica estera cambierà ed è probabile che gli Stati Uniti si riavvicineranno alla Russia di Putin. I due leader d’altronde hanno già detto di stimarsi. Ma sono gli interessi economici che muovono Trump e peraltro dovrà anche fare i conti con un enorme conflitto di interessi. Verso la Cina ha già spalancato la porta, pur criticando il regime. Questo d’altronde era un percorso già da tempo intrapreso da altre amministrazioni americane che con Trump si estremizzerà. Inevitabilmente questo significherà disengagement nei confronti dell’Europa, ma non è detto che sia necessariamente un male. L’Unione dovrà fare i conti con una maggiore indipendenza da Washington e questo potrebbe essere un fattore di ricompattamento dell’Europa. Certo Obama ha cercato di dare assicurazioni sulla continuità di questo rapporto privilegiato e l’Europa rimarrà inevitabilmente un grande alleato degli Stati Uniti, ma dovrà rivedere la propria posizione internazionale, ripensare i rapporti con la Russia e il proprio ruolo sui mercati orientali. Quanto all’Italia è difficile dirlo, certo perderà un po’ di quella sintonia trovata da Matteo Renzi e Barack Obama ma non penso che i rapporti si possano deteriorare più di tanto. Anche il nostro paese dovrà ripensarsi e ridefinire la propria posizione. Molto dipenderà anche dagli sviluppi dei prossimi mesi qui in Italia e da quanto la spinta populista continuerà nella direzione intrapresa in altri paesi, Stati Uniti compresi. Alcuni investitori italiani troveranno di sicuro conveniente una presidenza Trump, anche se dovremo vedere quali barriere daziarie il nuovo presidente e il congresso cercheranno di introdurre.
Articolo di: Alice Palombarani
Pubblicato il: 18/01/2017
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