La sentenza Google Spain e il diritto all’oblio. Come ci dobbiamo comportare quando un’informazione che ci riguarda, disponibile in Rete, danneggia la nostra identità? Il caso Google Spain è emblematico e ha posto il diritto all’oblio (il diritto di essere “dimenticati” dalla Rete) al centro del dibattito europeo ed internazionale, al punto da provocare un rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia europea.
Quante volte postiamo, twittiamo, aggiorniamo lo status di Facebook tramite i motori di ricerca? Quanti di noi, per farsi un’idea della vita e dei gusti di una persona, hanno mai visitato la sua pagina social? A volte lo dimentichiamo, ma tutte le informazioni che inseriamo volontariamente su Google (e sui Social in particolare) riflettono un’immagine di noi stessi. Un riflesso più o meno fedele alla realtà, oppure
molto distante.
Per quanto riguarda il diritto all’oblio, va detto che la nostra identità digitale viene frammentata e ancorata ai prodotti che acquistiamo e alle informazioni che condividiamo su Google, con il rischio che tutto questo materiale possa divenire “altro” e (nel caso limite) essere usato contro di noi. Le informazioni disponibili sull’individuo costituiscono un pezzetto della sua identità, e si può parlare senza dubbio di una vera e propria “identità informatica”. Ma quanto ci assomiglia il nostro riflesso virtuale? Premesso che un’informazione in Rete può esser vista da un numero infinito di utenti, secondo la felice espressione dell’ex presidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Franco Pizzetti, siamo quindi sicuri di non impigliarci nella “rete” della Rete?
Al centro del caso Google Spain e il diritto all’oblio c’è Mario, un cittadino spagnolo che nel 2009 ha cercato il proprio nome su Google trovando un articolo di giornale che, anni addietro, aveva riportato la notizia di un guaio che Mario aveva avuto in passato con la giustizia, e che oggi è del tutto concluso; attualmente Mario è una persona diversa, perché è maturato e la sua identità è mutata nel tempo. A questo punto, Mario ha considerato quelle informazioni come lesive del proprio diritto all’oblio, e ha portato la propria esperienza dinanzi al Garante spagnolo per la protezione dei dati personali; dopo alterne vicende, è stata la stessa Corte di giustizia europea a vagliare il caso. A seguito di un’attesa che ha lasciato con il fiato sospeso le Autorità garanti di tutto il mondo, nel 2014 è arrivato il responso dei giudici del Lussemburgo. La sentenza “Google Spain” ha imposto quindi al colosso di Mountain View la rimozione del link dai risultati di ricerca, ma ha lasciato via libera all’articolo che potrà rimanere nell’archivio online del giornale.
Come scrive il Comitato Consultivo di Google: “In osservanza alla sentenza del mese di maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione europea, i cittadini europei hanno ora il diritto di richiedere la rimozione dai motori di ricerca, ad esempio da Google, dei risultati relativi a ricerche che includono il loro nome. Da allora abbiamo ricevuto richieste di rimozione per ogni genere di contenuti: reati gravi, foto imbarazzanti, episodi di bullismo o di insulti online, vecchie denunce, articoli di giornale screditanti e molto altro. Per ognuna di queste richieste, siamo tenuti a prendere in considerazione sia il diritto di un individuo all’oblio sia il diritto del pubblico di accedere all’informazione”.
È necessaria dunque una riflessione sul rapporto fra memoria, diritto all’oblio e archivio; e si fa largo l’esigenza di trovare l’equilibrio fra il diritto di (non) essere dimenticati da Google, di controllare la circolazione dei propri dati (che hanno un valore economico!), di avere un’identità virtuale; e il diritto alla libertà di informazione e di espressione dall’altra. In un mondo in cui il confine fra reale e virtuale è sempre più vago, meglio non sottovalutare l’ago di questa bilancia.
Articolo di: Alice Palombarani
Scritto e pubblicato il: 08.05.2016
Pubblicato su Occhiaperti Blog il: 24.05.2016
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